Canoviana2012

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lunedì 29 luglio 2013

Come avventurarsi sulla facciata di San Petronio, a Bologna

Bologna, primo comune della storia, città da sempre insofferente sotto il domino della Chiesa o dell'Impero, sancì la propria indipendenza con il progetto di un'opera grandiosa e imponente, la  Basilica di San Petronio. Non si trattava di costruire il Duomo cittadino ( cioè la già esistente Cattedrale Metropolitana di San Pietro), ma di erigere una chiesa concepita come tempio civico e portatrice sì dei valori religiosi, ma sopratutto di quelli politici della città.
L'orgoglio che dei cittadini della Bologna gotica è lo stesso di quelli del XXI secolo e nel 2010 è partito un programma di restauro  volto a restituire l'antico splendore alla basilica nel 350° anniversario dal suo completamento. Sulla lapide nella parete esterna della cappella dedicata al santo patrono, la Basilica stessa viene definita Felsinae Thesaurus, il tesoro di Bologna. Un tesoro da coccolare, curare e ostentare!

Il ponteggio sulla facciata e il "telone"

Ponteggi per i restauri abbracciano la chiesa da diverso tempo, ma uno in particolare si è fatto protagonista della vitalità bolognese in questi anni, cioè quello della facciata, del lato che dà su Piazza Maggiore. 
Credo sia doveroso segnalare le tappe che hanno portato alla realizzazione di questa facciata, sintesi massima della storia del capoluogo emiliano -l'interno lo affronterò più avanti, ma intanto segnalo la meridiana sul pavimento della navata sinistra e l'affresco di Giovanni da Modena nella Cappella Bolognini. 
Immaginiamoci turisti di passaggio, che dal crescentone (il gigantesco gradino in mezzo a Piazza Maggiore) scrutiamo al volo il volto della chiesa di Bologna. 
Alla fine del XIV secolo, su progetto di Antonio di Vincenzo fu concepita una struttura grandiosa, eccezionale espressione del "tramonto" del gotico: l'architetto aveva pensato a una croce latina lunga 183 metri, con un transetto di 137 metri, a tre navate e con cappelle laterali. Nel 1390 furono avviati i lavori, che procedettero dalla facciata verso l'abside, ma rallentarono dopo la morte dell'architetto, al principio del XV secolo, e si conclusero nel 1663.

La facciata prevedeva un basamento in marmo e, alle estremità, dei piloni trilobati, visibili ancora oggi. Le decorazioni della Porta Magna (il portale centrale) furono affidate al senese Jacopo della Quercia, che tra il 1425 e il 1434 incorniciò il portale con una statua della Madonna con il Bambino e i Santi Ambrogio e Petronio e dei rilievi con Storie della Genesi e e Storie dell'infanzia di Cristo. Al plastico dinamismo tipico dell'artista si accompagna l'espressionismo feroce, che anima figure forti e prepotenti. I personaggi occupano le formelle con potenze e rigore, facendo del portale un'opera rinascimentale ante litteram.
Nel 1507, Arduino degli Arriguzzi fu incaricato di completare la basilica. Il 21 febbraio dell'anno successivo fu posta in opera una colossale statua del pontefice Giulio II, opera di Michelangelo. Il papa sanciva così il proprio dominio sulla città, annullando la libertà e l'autonomia politica di cui la basilica era simbolo. Pochi anni dopo, però, fu compiuto uno dei più atroci delitti della storia dell'arte: nel 1511, durante il tentativo dei Bentivoglio di riappropriarsi del dominio (la famiglia era stata alla guida di Bologna fino al 1506, quando la città fu conquistata da Giulio II), la statua fu distrutta dalla fazione bentivolesca. I frammenti del bronzo furono venduti ad Alfonso d'Este duca di Ferrara, che li fece fondere per realizzare un cannone al quale diede il nome di Giulia.
Secondo il progetto dell'Arriguzzi, San Petronio avrebbe raggiunto dimensioni eccezionali, con una lunghezza di 224 metri e un transetto largo 158 metri: Bologna si proponeva di avere la più grande chiesa della cristianità. 
Tra il 1524 e il 1530 furono realizzati i due portali laterali sui disegni di Ercole Seccadenari: artisti del calibro Niccolò Tribolo, Alfonso Lombardi, Girolamo da Treviso, Amico Aspertini, Zaccaria da Volterra e lo stesso Seccadenari scolpirono le formelle. Lombardi e Aspertini, inoltre, si occuparono delle lunette: al primo spetta la Resurrezione di Cristo, del portale di sinistra, e al secondo la Deposizione di Cristo, del portale di destra.


La facciata della Basilica di San Petronio prima dei restauri

La costruzione della basilica di Arriguzzi si arrestò nel 1562, quando a 20 metri dalla navata della Basilica papa Pio IV fece costruire l'Archiginnasio, la prima sede dello Studium bolognese. Ancora oggi sono visibili sulle fiancate esterne vicino all'abside le bifore d'angolo che avrebbero dovuto dar principio al transetto. Consiglio di dare un'occhiatina.... è estremamente suggestivo! 
Da questo momento, le energie della fabbriceria si concentrarono prevalentemente sulla facciata, per un'ossessivo desiderio di completamento della facciata. Desiderio mai avveratosi.
Dal XVI secolo furono numerosi gli artisti interpellati per il completamento del fronte della chiesa: dal 1538 fu seguito il disegno Domenico da Varignana, che prevedeva un rivestimento marmoreo sui mattoni gotici. Successivamente furono consultati Giacomo Ranuzzi, il Vignola, Baldassarre Peruzzi, Giulio Romano, Domenico Tibaldi e Andrea Palladio. E la facciata rimase così com'è.
Nel 1887 un concorso per il suo completamento richiamò l'attenzione di architetti e restauratori come Edoardo Collamarini e Alfonso Rubbiani, ma non fu selezionato nessun progetto. Accadde lo stesso negli anni Trenta del Novecento. E la facciata rimase così com'è.
Tra il XVI e la prima metà del XVII secolo furono portati avanti anche i lavori delle volte (di cui parleremo in altro momento..): nel 1663 l'edificazione fu conclusa, secondo il progetto di Girolamo Rainaldi. La Basilica, si è detto, fu voluta dal Comune e al Comune rimase fino al 1929, quando fu trasferita alla diocesi per poi essere consacrata nel 1954 dal Cardinale Lercaro. Ed ecco, questo 2013 è il 350° anniversario dal completamento della Basilica, la molla che ha fatto scattare i restauri e il magnifico progetto di Felsinae Thesaurus, per restituire ai bolognesi e ai forestieri il candore dei marmi, le lotte architettoniche tra gotico e rinascimento e il vitale plasticismo delle lunette e dei bassorilievi!

  

Il livello più alto del ponteggio della facciata è stato destinato ai bolognesi, ai curiosi, ai turisti... che vogliono vedere la piazza antistante e i tetti della città dall'alto. Si salgono 130 gradini, sbirciando tra le impalcature i lavori in corso, e si arriva a dominare la città a 22 metri di altezza. Siete sulla TERRAZZA PANORAMICA !!!



Il panorama dalla Terrazza Panoramica


Sembra di vivere un sogno impossibile, qualcosa che nemmeno si osava di sperare!  Ed eccoci faccia a faccia con il Palazzo del Podestà, a sinistra il Palazzo d'Accursio e quello dei Notai a destra il Palazzo dei Banchi.. e laggiù la Fontana del Nettuno. Vediamo le Due Torri, la cupola della Chiesa della Vita, Piazza Maggiore in tutti i suoi 115 x 60 metri. Quelle formichine lì sotto sono le persone che passano, chi di corsa, chi con calma e chi puntando il naso in su, verso la facciata della chiesa, verso di noi. 
In autunno spacchetteranno la Basilica, restituirci quei marmi sicuramente ammirati da Carlo V, quando fu incoronato imperatore da Clemente VII all'interno della basilica (1530) e da Giacomo Leopardi negli anni bolognesi (1825-1827).
Io non vedo l'ora. La curiosità mi tormenta!

Come avventurarsi sulla facciata di San Petronio, a Bologna: sul lato destro della facciata trovate l'ingresso. Per 3€ potete salire sulla terrazza!

lunedì 22 luglio 2013

gita a piazzola: non solo mercatino


Se è un'ultima domenica del mese, il sole splende e la noia vi ammorba, fate una piccola trasferta in Veneto. Andate a Piazzola sul Brenta (Padova) e vi rifarete gli occhi!
Il consiglio vale sì per il divertente mercatino di antiquariato... ma punta soprattutto a mandarvi a Villa Contarini , che fa da sfondo alle centinaia di bancherelle sparse nella cittadina.
I banchi nella piazza della villa subiscono il furto dell'attenzione da parte della facciata della principesca dimora. La commistione tra l'edificio e il parco è pura poesia, costituita dalla perfetta fusione tra architettura e paesaggio, tra artificiale e naturale, in cui lo stesso giardino viene "costruito" dall'uomo insieme alla villa. 
Ammetto che, in una mattina di sole congiunto a un freddo pungente, il mio interesse è stato letteralmente rapito. Ho scrutato ogni angolo dei 180 m di facciata, ogni centimetro (dipinto e non) delle sale, ripensando alla storia della villa. 
In quel terreno sorgeva un castello dei Dente, poi ereditato dai signori di Padova, i Carraresi, e successivamente acquistato dalla famiglia Contarini. Sulle prime mura dell'anno Mille nel 1546 furono avviati i lavori per la costruzione del corpo centrale della "reggia", definita così in virtù dell'aspetto monumentale previsto dal progetto di Andrea Palladio. Sono della metà del secolo successivo i lavori di completamento, che diedero alla villa l'aspetto "teatrale" che ha ancora oggi.
Abbandonata per più di un secolo, la villa fu acquistata dalla famiglia Camerini, che nel XIX secolo la restaurò e completò con un gusto fortemente "ottocentesco". Essa, infine, fu acquistata a metà '900 dal prof. Giordano Emilio Ghirardi, che la portò all'antico splendore e ora viene accudita dalla Fondazione a lui intitolata per conto della Regione Veneto. 



La gita a Piazzola su Brenta può esulare dal mercatino, se siete puristi... e puntare direttamente agli interni di Villa Contarini. Le occasioni possono essere tante, da un concerto la sera a un'esposizione temporanea, una consultazione degli archivi o la curiosità per il museo lapidario o la semplice visita delle sale.Insomma, ogni scusa è buona!  E sempre valida!



giovedì 18 luglio 2013

Spiritelli a Firenze

Le sale di Palazzo Strozzi oggi e quelle del Louvre dopodomani, si fanno ospiti di una serie di capolavori affascinante.
Da sinistra - particolari di
Donatello, Madonna Pazzi. Desiderio da Settignano, Olimpia, regina dei Macedoni
La locandina della mostra, con Donatello, San Ludovico di Tolosa
L'indagine delle "radici" dell'arte rinascimentale offre lo spunto per una riflessione storico artistica che parte dalla fine del XIII secolo per arrivare a metà del XV, ed è un trionfo per il benessere. Anche fisico!
Poter passeggiare tra Brunelleschi, Donatello, Andrea del Castagno, Mino da Fiesole.. Masaccio e l'arte antica è un piacere che genera energia ed entusiasmo, soprattutto quando il significato del percorso è chiaro, lineare ed essenziale. L'esposizione La primavera del Rinascimento. La scultura e le arti a Firenze 1400-1460 dà questo piacere, consentendo di seguire con agio il filo di un discorso che presenta le origini del Rinascimento: attorno al "mito" della città di Firenze si snoda un percorso che insegue la riscoperta della classicità da parte degli Umanisti e la sensibilità intellettuale che caratterizzarono la città di Firenze nel Quattrocento.
L'importanza di alcuni pezzi sembra catapultarci in un manuale di storia dell'arte: appena si entra, quasi ci si dimentica di guardare gli esempi due/trecenteschi che ci accolgono, per fiondarsi a guardare le formelle di Lorenzo Ghiberti e Filippo Brunelleschi, Il Sacrificio di Isacco. Visti così, faccia a faccia, stordiscono anche l'animo più ferreo. Il contrasto tra la compattezza compositiva del bronzo di Ghiberti e la spazialità frammentaria di quello di Brunelleschi non hanno bisogno di commenti, stupiscono e basta. E non finiranno mai di lasciare con il fiato sospeso.
 Subito sopra, Brunelleschi architetto e la cupola di Santa Maria del Fiore... il tour rinascimentale prende il via.
Filippo Brunelleschi e Lorenzo Ghiberti
Il sacrificio di Isacco, 1401
Firenze, Museo Nazionale del Bargello
Dopo questo trionfo del sacro, l'immersione nel tema profano e negli studi prospettici è stata sorprendente. Poter dialogare con gli spiritelli di Donatello può esser linfa per lo studio e per il solo godimento estetico: sorrisetti ammiccanti e irriverenti...
La scultura di Donatello & Co. si fa guida d'eccellenza, aprendoci i cantieri di Orsanmichele e del Campanile del Duomo fino ad avviarci alla scoperta delle terracotte invetriate di Luca della Robbia e delle composizioni equilibrate della "Pittura scolpita" di Masaccio, Paollo Uccello, Andrea del Castagno e Filippo Lippi.
Putto Mictans
Filo dell'intero percorso è lo stretto rapporto tra l'arte (sopratutto la sculutra) del primissimo rinascimento e quella tardoantica e i due puttini donatelliani si inseriscono a pieno titolo in questo discorso, insieme a una certa ritrattistica che prende il via proprio a Firenze negli anni Venti del Quattrocento, cioè quella delle medaglie e quella dei busti-ritratto. Gli effigiati sono ritratti di profilo, come gli imperatori nelle medaglie di Roma antica, o si fanno scolpire in busti austeri ed eleganti, nelle vesti di grandi condottieri. Con queste opere si passa a intravedere una committenza che a metà del XV secolo era ancora rara, anzi, era peculiarità della città di Firenze, cioè quella dei nuovi mecenati privati. E a fine percorso ci si imbatte in questi personaggi fieri, sicuri di sè e del proprio ruolo, come era la Firenze oligarchica dei de'Medici.
Gli Spiritelli reggicandela di Donatello


La mostra a Palazzo Strozzi: La Primavera del Rinascimento. La scultura e le arti a Firenze 1400-1460

Palazzo Strozzi a Firenze


mercoledì 17 luglio 2013

Brad & Munch



Gli zombie contro cui combatte Brad Pitt in World War Z sembrano derivare da un confronto diretto del regista Marc Forster con le urla di Munch...l'associazione che si sviluppa guardando questi omuncoli grigiastri con i denti ballerini è stata immediata per molti di voi, non ho dubbi!


Questo mi ha fatto venir voglia di riguardare gli appunti sul pittore norvegese, dopo settimane di studi sull'Antico e un paio di post riguardanti un'arte figurativa fruibile e -tra virgolette- più "semplice"!
Quello del pittore norvegese era un animo inquieto, figlio di un'epoca fatta di eccessi e di esperienze forti che acuiscono sofferenze radicate nell'infanzia. L'arte di Munch, infatti, è satura di elementi autobiografici, che dipingono con pennellate dense e decise un'umanità disperata.
Tendenzialmente si conosce Edvuard Munch per L'Urlo, ma non tutti sanno che GLI URLI sono quattro!!!
Non voglio riflettere sulle silenziose richieste di aiuto fatte nel reiterare temi e luoghi -si vedano L'Urlo e La voce // Chiaro di Luna. E non voglio insistere sulle angosce esistenziali proto-espressioniste: non ne ho i mezzi critici.



Vorrei solo concentrarmi sulla forte carica fisica delle sue pennellate. La cosa che più mi affascina di Munch è la violenza che il pittore fa alla figura umana; utilizzando un pennello saturo di pigmento e sfruttando la purezza del colore, egli annulla la fisicità. Egli fonde corpi e anime e sensazioni, come avviene ne Il bacio. I cui contorni si confondono con lo sfondo, restituendo all'uomo l'innato senso di appartenenza alla natura.
Per gridare al mondo il proprio rifiuto verso la sofferenza, ha creato uomini e donne sfigurati dal pennello, ma fieri della propria essenza: assume, per me, l'arte di Edvard Munch una compostezza  distante da quella delle "belle madonne" di Raffaello, ma altrettanto efficace. Una compostezza che da coraggio.
E torniamo qui all'aitante Brad Pitt, che in World War Z si unge un po' i (terrificanti!) capelli a caschetto. Se lui ha salvato il mondo con una chioma così... anche le angosce degli zombie di Munch sono risolvibili! E i suoi omini disperati sono molto più sexy dei burattini sdentati contro cui combatte Pitt.


Edvard Munch, Sera sulla via Karl Johann, 1892, Bergen, Collezzione Rasmus Meyer

venerdì 12 luglio 2013

ARGAN DOCET

Si confronti la Fontana di Nettuno (1563) del Giambologna con la Saliera di Francesco I (1540-43) del Cellini: la prima è un soprammobile da piazza, la seconda un monumento da tavola. Ma il tipo dell'oggetto è lo stesso: un complicato tema allegorico, una composizione ben disegnata, una tecnica scaltra.



giovedì 11 luglio 2013

Dante a Parigi

L'afa di questi giorni propone un'associazione spontanea con le calure subite da Dante passeggiando all'Inferno. E il pensiero vola ad Auguste Rodin, che ho incontrato in un pungente inverno parigino. CALDO vs FREDDO.
Dal 1880 per oltre quarant'anni lo scultore lavorò alla propria interpretazione della Divina Commedia, per realizzare un porta per il Musée des Arts Décoratifs di Parigi.
I versi "lapidari" di Dante (così li definì lo stesso Rodin, che li studiò per più di un anno) diventarono bronzo, un silenzioso omaggio al lavoro di Lorenzo Ghiberti per il Battistero di Firenze, la Porta del Paradiso. 
Alta più di 6m, larga 4  e profonda 1, la Porta dell'Inferno si erge con tutta la sua potenza ornamentale nel giardino della casa dove abitò scultore, oggi Musée Rodin, nel cuore di Parigi. Oltre 200 personaggi, in un groviglio di corpi e forme, popolano il portale e danno vita alle parole di Dante.
Per molti di noi, il testo dantesco è stato protagonista di incubi dell'adolescenza, non tanto per lo scenario infernale che presenta, quanto per l'interrogazione non preparata per il mattino successivo. Figure retoriche, parole obsolete... ma, diversamente dalla terzine dantesche, quest'opera monumentale non ha bisogno di parafrasi! L'amore struggente di Paolo e Francesca, il dolore disumano del Conte Ugolino e la disperazione di tutti i dannati lasciano senza fiato.
 Chiunque sente un brivido, l'emozione di un bambino che scopre il fascino delle onde del mare. Perché è questo che trasmette l'Inferno di Rodin, il fascino della scoperta di qualcosa che rimane sempre... un mistero.



Auguste Rodin, La Porta dell'Inferno
1880.1917, Musée Rodin, Parigi

"Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta, e 'l modo ancor m'offende.

Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer si forte,
che, come vedi, ancor non m'abbandona.

Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense".
Queste parole da lor ci fuor porte.

Dante Alighieri, Inferno, V, 100-108




martedì 9 luglio 2013

profondità nell'alto

Rovesciate la cupola, riempitela d'oro e non l'avrete ancora pagata a sufficienza.

Satira fiamminga: una scoperta

Vado a Roma per studiare alla Galleria Doria Pamphilj. Spendo una intera mattinata tra tele del Seicento bolognese e marmi paleocristiani, passeggiando tra sale in stile Rococò e gallerie affrescate a grottesche nel Cinquecento. Un godimento intellettuale feroce. 
Seconda tappa della mia trasferta è il Chiostro del Bramante, su idea di una mia amica. 
Dell'arte fiamminga io non so NULLA in più rispetto a quello che dice un manuale. Non so assolutamente niente. E per me la mostra Brueghel. Meraviglie dell'arte fiamminga è stata una rivelazione meravigliosa ed esilarante!
Meravigliosa perché ho potuto incontrare da vicino quattro generazioni dei Brueghel, una dinastia di pittori fiamminghi attivi tra XVI e XVII secolo.
Dalla loro bottega sono uscite nature morte e allegorie il cui messaggio di vanitas che si percepisce è ancora forte.
Esilarante per i sotterfugi satirici che affiancano un'arte lenticolare.
Tra i pennelli di Pieter B. il Vecchio, del Giovane, di Jan "dei Velluti"  e di Jan il Giovane la natura si fa sempre più protagonista del dipinto, emancipandosi dallo sfondo e dominando l'intera composizione. La riflessione sulla natura si accompagna a un'analisi dei dettagli sempre più ossessiva. Con le lente di ingrandimento si scrutano anche le venature degli alberi dello sfondo. Al contempo l'artista concentra l'attenzione al dato quotidiano, rappresentando nei propri dipinti scene di vita "vissuta". 
Si aprono davanti a noi finestre sul mondo, spaccati della quotidianità fiamminga del XVII secolo, che potrebbe essere quella di oggi. La pittura bruegheliana dipinge con una freschezza disincantata un'umanità allo sbaraglio che potrebbe essere la nostra...tra scenette pseudo-erotiche, satire e feste di campagna vive una popolazione in fermento. 
L'esposizione sui Brueghel, pertanto, si offre a un pubblico di ampiezza smisurata. Essa può soddisfare tanto un culture della materia, quando un amante della parodia politica italiana, quando un appassionato di fumetti. E tale soddisfazione si nutre del fatto di essere data da una pittura raffinatissima, costruita da una cromia forte e disegnata da piccoli pennelli, pronti a mettersi in discussione. Ed ecco che tra una Allegoria e una Strage degli innocenti si apre un piccolo sipario satirico, per rivisitare il Nuovo Testamento e la mitologia e darne una versione che sia fruibile a tutti.
Nel loro eccezionale fervore lenticolare queste punte sottilissime di pennello fanno sognare...la realtà!




martedì 2 luglio 2013

Manet @Venezia

Édouard Manet in mostra a Palazzo Ducale. Meraviglioso MANET RITORNO A VENEZIA.
Mi era nota la pittura, anche il manuale più mediocre ne parla. Quelle pennellate nette e ricche di colore.
Ma non avevo idea della fitta rete di rapporti che si nasconde dietro una cromia purissima, fatta quasi di campiture, che dipinge un'umanità vitale e...umana.
C'è in Manet la profonda conoscenza di una contemporaneità fatta di élite culturale e salotti, fatta di poeti e artisti, fatta di uomini. I viaggi in Europa, gli spunti dall'Antico (l'arte veneta del Cinquecento, il Seicento spagnolo) e gli scambi con colleghi e scrittori impregnano l'arte di Manet di una forza travolgente.
Questa energia talvolta si smorza sulla tavolozza, per farsi beffa della morale del tempo (vedi la Olympia, locandina della mostra). Ma è nel disegno che si manifesta con un'enfasi speciale l'arte di Manet. Non ne conoscevo la grafica fino a questo momento. La porosità del lapis, affatto fine, segna con contorni netti e decisi silhouette e figure. Le ombre non sono sfumature, ma pure geometrie scandite dalla vigorosa punta di quella matita che mai sembra staccarsi dal foglio. È stata una scoperta meravigliosa!
Per me Manet non sarà più solamente quell'ardito pittore che osò pensare  Le déjeuner sur l'herbe, ma sarà anche un grande disegnatore, che nel foglio ingabbia uno studio attento, puntuale e appassionato.
Una passione contagiosa.
Tornate anche voi a Venezia!